Telefoni cellulari, tablet e laptop, infoscreen e persone «cablate» ci circondano. Chi è un po’ avanti negli anni può guardare a questo nuovo mondo digitale con un certo sospetto e mantenere la giusta distanza, come da un cane che digrigna i denti. Conviene tuttavia venire a patti con le nuove tecnologie e rassegnarsi alla loro inevitabile presenza. Anche se con un po’ di sano scetticismo.
Mettiamo subito le cose in chiaro: sono abbastanza vecchio da non capire perché i ragazzi ridono quando parlo di dischi. E non dei 78 giri, si badi bene. Quelli li trovavo antichi anch’io, quando ero giovane. A casa nostra non c’era il televisore, ma una radio a valvole con una scala di sintonia dove trovavo nomi come Falun o Kalundborg, che erano il massimo dell’esotico, visto che nessuno conosceva questi posti. Solo consultando l’atlante di scuola si poteva scoprire dove fossero. A Falun non sono ancora stato, in compenso ho visitato luoghi dai nomi ancor più eccitanti, come Jokkmokk o Mo i Rana. Non ho mai sentito l’esigenza di sapere che tempo facesse a Falun e come si chiamasse il sindaco di quella città. In teoria avrei potuto telefonare al municipio di Falun e chiedere lumi, perché un telefono – o meglio un telefono da tavolo W48, nero, pesante e solido – a casa mia c’era. Telefonare però costava caro, per cui nessuno telefonava per divertimento. Se squillava il telefono, era una cosa seria e si cercava di essere concisi.
Ora però, appena fuori dal grigiore dell’era analogica, nessuno ne vuol più sapere. Oppure, ferma! Mi viene in mente ancora una cosa. Una parola a quei tempi di moda era «manipolare» e non nel senso di truccare il motorino. Cresceva la consapevolezza che nella società cittadini e consumatori erano esposti a vari influssi. Politologia e sociologia acquisivano lo status di materie di studio, si boicottavano i censimenti e ci si faceva beffe dello stato impiccione.
Oggi è tutto diverso. «Ho lasciato Susanna, ma non dirlo in giro, perché non lo sa ancora nessuno», si sentiva recentemente sul tram e 50 testimoni involontari s’impietosivano per la triste sorte della sconosciuta. Per colpa della telefonia mobile mi è capitato anche di venire a conoscenza di molte anamnesi e di sentire lamentele su collaboratori incapaci, citati con nome e cognome. Adesso non mi spavento quasi più, se incontro qualcuno che borbotta tra sé e sé. Penso solo che la ricezione dev’essere cattiva, se c’è bisogno di urlare tanto. Ma è un problema che avevamo anche con il vecchio W48.
È incredibile quanto fosse visionario il disegnatore Karl Arnold, nel 1926, quando nel Simplicissimus, con la didascalia «Telefonia senza fili», fece la caricatura di uno che si pavoneggiava telefonando per strada. Negli anni ’60 faceva colpo chi possedeva un massiccio e costoso telefono da automobile. Oggi invece 12 milioni di svizzeri telefonano comodamente e a basso prezzo con la tecnologia digitale del Natel (da Nationales Autotelefonnetz, la rete di telefonia mobile per auto). I tedeschi con l’handy. Ma cosa vuol dire telefonare? Ormai è un’attività riservata agli anziani che non hanno imparato a digitare con entrambi i pollici alla velocità della luce su tastiere piccolissime – anche digitare con un dito solo è segno di arretratezza digitale. Tutti gli altri usano SMS, MMS o, molto più spesso, altri servizi come Whatsapp, attirati in una interminabile comunicazione con utenti predefiniti. In genere questi programmi sono gratuiti, ma accompagnati da chilometriche CGC che si accettano con un clic, generalmente senza leggerle. Essendo scettico di natura, in questi casi ho sempre l’impressione di vendere l’anima. In fondo si tratta solo dei miei dati, più numerosi e dettagliati di quelli che avevo nascosto tenacemente allo stato, rischiando una contravvenzione, durante il censimento.
D’altro canto cerco di ignorare le mie perplessità sui possibili rischi causati dalle radiazioni. L’Ufficio federale tedesco per la protezione dalle radiazioni consiglia pragmaticamente, a titolo preventivo, di fare telefonate brevi (come una volta, quindi), di usare cuffie o auricolari, di inviare SMS e di usare il telefono fisso, se ancora c’è. Oltre il 50 per cento dei clienti over 60 di un grande gestore di telefonia usa già uno smartphone. Il desiderio di informazione in Internet è aumentato esponenzialmente anche tra gli anziani. Quasi tutti gli offerenti propongono corsi per gli anziani e la competizione è feroce, visto che gli anziani sono un gruppo target gratificante. Si pubblicizzano ancora i telefoni per anziani: senza tanti fronzoli, ma con i tasti grandi, un buon display e un audio ottimale – tutte cose necessarie, quando i sensi si indeboliscono. Ma la maggior parte degli over 60 al giorno d’oggi è ancora arzilla, abile e desiderosa di partecipare al mondo digitale. E va bene così, visto che il progresso in questo settore non procede a due velocità. Un po’ di tregua ci viene concessa dalle amministrazioni pubbliche, che in passato hanno peccato di lentezza e non hanno sfruttato le potenzialità della digitalizzazione quanto il settore privato.
Uno sguardo all’Estonia ci svela quale sarà il traguardo. Questo piccolo paese è un laboratorio di IT e antesignano nella digitalizzazione dell’amministrazione pubblica. «La carta SIM come documento d’identità? Pagare senza contanti? Eleggere il parlamento con votazione elettronica? Costituire aziende online quasi con la stessa velocità, senza notaio e altri ostacoli? Non c’è problema. Gli estoni possono usufruire di oltre cento servizi statali con il tesserino elettronico», proclamava entusiasta la Süddeutsche Zeitung già un anno fa.
Con un numero ID personale i cittadini possono identificarsi presso le autorità o in banca, stipulare contratti e ricevere cure mediche. La firma digitale ha lostesso valore di quella manuale. All’idea di questo scambio completo di dati tra autorità e istituzioni, banche e medici, grandi magazzini e società di servizi, mi sento male, a prescindere che abbia o no qualcosa da nascondere. Certo che è allettante l’idea di sbrigare tutta la procedura fiscale online, in modo trasparente per tutti, e non solo caricare rapidamente i formulari, ma poterli inviare immediatamente alle autorità competenti, senza salire scale, prendere il numero e aspettare il proprio turno. Ma sono davvero tutti in grado di trasformarsi in e-citizen anche a 70, 80 o 90 anni? Per non parlare della discriminazione verso chi non ha accesso alla rete.
Io che sono un guastafeste ricordo però che poco prima della crisi bancaria del 2008 avrei voluto sottoscrivere un’offerta di risparmio a interesse vantaggioso della banca islandese Kaupthing, tuttavia, non avendo un numero di cellulare, l’affare non si fece e riuscii così a salvare i miei soldi. Rifiutare il cellulare per un anziano oggi sarebbe impensabile. Figli, nipoti e pronipoti fanno in modo che genitori e nonni siano sempre raggiungibili. Sempre più spesso, al termine della vita professionale, le persone si occupano da sé della propria partecipazione al mondo digitale. Lo smartphone, ovviamente, ma anche tablet e laptop sono diventati parte della casa come il frigorifero A+++ o il televisore a schermo piatto da 127 cm. Arzilli pensionati prenotano e pagano i propri viaggi online e salvano il biglietto nello smartphone con un’app (o si può dire applicazione? È già degno di nota che con tutti gli aggeggi digitali, si deve o si può anche imparare l’inglese!). Come sarà il tempo o il biometeo di domani? Pioggia? Allora mi leggo la predica di domenica sul computer e mi risparmio la strada per andare in chiesa. Cosa dice lo chef: per quanto tempo devo far marinare il boeuf bourguignon?
Tante cose diventano più facili e quando le gambe non ci reggono più tanto, è il mondo ad entrare in casa nostra. Non ci vuole niente per vedere, via webcam, il municipio di Falun o per scaricare dalla mediateca le trasmissioni televisive che si sono perse. E che dire della spesa online, che arriva comodamente a casa nostra, adesso che i negozi di quartiere sono una rarità? Spero anche che la maturità e la saggezza dell’età aiutino a verificare la veridicità e la rilevanza dei risultati delle ricerche online, in mezzo a tutto il ciarpame che – come potrebbe essere altrimenti? – ti viene servito ad ogni clic.
È noto da tempo che scrivere a macchina, suonare il pianoforte o la fisarmonica fa bene alla memoria. Idem scrivere al computer. Oltre ad allenare la coordinazione, pare che questa attività sia importante per la stimolazione tattile dei polpastrelli, dove ci sono molte terminazioni nervose. Meno creativo, ma altrettanto efficace è tamburellare con le dita sul piano del tavolo, ma è un gesto che innervosisce i presenti e svia dall’argomento. Mi sono rivelato uno scettico? Un over 60 che usa, ma non domina, i mezzi digitali; che mette in guardia dal falso nirvana della sovrabbondanza di dati, ma che è entusiasta delle opportunità offerte dall’era digitale? Che constata che l’astinenza digitale genera esclusione sociale e quindi stimola a partecipare?Che afferma che il progresso non va fermato, ma saldamente controllato? Che teme il momento, forse vicino, in cui non ci saranno più banconote e monete da mettere nel portafoglio, come potrebbe succedere in Svezia in un futuro non troppo lontano? Che nutre la speranza che con Internet si possano discutere e lanciare anche temi politici; che anche i cittadini controllati elettronicamente continuino ciononostante a determinare ciò che avviene nel proprio paese?
Trovo rassicurante che le persone sfruttino le opportunità del digitale, ma apprezzino anche la comunicazione diretta; che a tavola spengano il cellulare e in treno scambino qualche parola coi vicini, invece di indossare gli auricolari non appena si siedono. Non mi sono rassegnato a vedere i giovani che vagano senza scopo per la città come fossero ciechi e sordi, smartphone alla mano, senza sapere dove sono e perché dovrebbero ammirare e commentare il misero pezzo di pizza nella foto condivisa da un amico. E in questo caso la colpa non è della tecnologia. Per questo affido le mie speranze alla saggezza delle pantere grigie, alle persone come te e me, che usano la tecnologia, senza diventarne ostaggio.
Robert Schäfer,
nato nel 1954, ha studiato paesaggistica e giornalismo e dal 1980 scrive in tema di città, di paesaggio e delle persone che li popolano. Conoscendo le perfidie della tecnologia, consiglia a tutti gli anziani, di appropriarsi per tempo delle opportune competenze e know-how.